L’attualità delle riflessioni di Calamandrei e di Bobbio sull’ordinamento giuridico cinese

12 Nov 2020 | Ricerche, Storia del diritto

Ivan Cardillo

(Il presente contributo è apparso in «Il Ponte», Anno LXXVI n. 5, settembre-ottobre 2020, pp. 48-57 Per il testo con le note si rinvia al seguente link).

  1. Introduzione

L’occasione di queste riflessioni è data dai festeggiamenti del cinquantesimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra Italia e Cina, formalmente iniziate il 6 novembre del 1970, dopo oltre un decennio di dialogo, caratterizzato da varie visite ufficiali e semi-ufficiali. Ad inaugurare la stagione di dialogo sono due delegazioni, entrambe del settembre 1955, una di natura politica composta da cinque esponenti politici e guidata da Pietro Nenni, un’altra semi-ufficiale composta da diciotto intellettuali guidata da Piero Calamandrei. Quest’ultima delegazione ha il merito di aver creato un vero e proprio ponte culturale con il mondo politico e intellettuale cinese, e di aver animato il dibattito italiano, sensibilizzandone l’opinione pubblica. Primo importante risultato è la pubblicazione di un numero speciale della rivista fondata e diretta da Calamandrei Il Ponte dal titolo La Cina d’oggi, un vero e proprio resoconto del viaggio per il pubblico italiano, e prima testimonianza dell’amicizia creata con il mondo cinese per aver ospitato, oltre agli articoli degli intellettuali che hanno partecipato al viaggio, anche articoli e traduzioni di intellettuali cinesi. La pubblicazione ha eco anche in Cina, ottenendo buone recensioni sulle pagine del Quotidiano del popolo.   

Il viaggio della delegazione avviene nell’autunno del 1955, sei anni dopo la fondazione della Repubblica popolare cinese, appena un anno dopo la promulgazione della prima carta costituzionale, e a più di un decennio da quel periodo di nichilismo culturale e giuridico che sarà la rivoluzione culturale. Nel 1978 si aprirà l’era di Deng Xiaoping e la via del progresso del socialismo con caratteristiche cinesi. Nel ’55 siamo ancora lontani dalla Cina della Politica di riforma e di apertura, e il saggio di Mao Zedong Sulla nuova democrazia traccia il quadro entro cui si muove il dibattito e la politica del tempo. In questo periodo, definito dai “viaggiatori” del tempo, ovvero coloro che per i “sinologi patentati” esplorano la Cina senza conoscerne la lingua e il passato, come un periodo di «transizione dalla rivoluzione democratica alla rivoluzione socialista», appare già chiaro che il futuro della Cina non consisterà in una occidentalizzazione integrale e che le teorie occidentali saranno adattate alle circostanze singolari del paese. 

Gli intellettuali occidentali del tempo accolgono l’invito di Zhou Enlai fatto in occasione della conferenza di Bandung: “venite a vedere”, e tra sinofilia e sinofobia, tra comunismo e anti-comunismo, in molti partono alla volta del regno di mezzo guidato da un carismatico Mao Zedong. «Il est vain de prétendre décrire ce pays: il demande à être expliqué» scrive Simone de Beauvoir cogliendo quello che è, da sempre, il problema nel dialogo tra occidente e Cina, ovvero il problema della lingua e della traduzione. Per parlare di Cina occorre sì conoscere la lingua cinese ma ciò non è sufficiente. Bisogna anche essere in grado di tradurre i saperi, di mettere in dialogo le culture, di saper spiegare ed interpretare la Cina, e per far questo bisogna essere anche filosofi, giuristi, intellettuali oltre che sinologi. Gli anni ’50 segnano anche l’inizio dei moderni “China Studies” e della moderna sinologia in America e in Europa, la nascita di riviste specialistiche, e un allontanamento ulteriore tra i saperi.

Calamandrei lavora con molta attenzione all’edizione de La Cina d’oggi, consapevole delle complessità e delle implicazioni ideologiche che gravavano sul dibattito sulla Cina. Il suo obiettivo è quello di affrontare l’argomento in maniera scientifica, critica, dotta, di evitare che il suo lavoro venga interpretato come «strumento di propaganda paracomunista», e di proporsi come apripista di un filone di studi della cultura cinese, che l’Italia del tempo, nella sua visione, non può più permettersi di ignorare. Il clima italiano, però, è tutt’altro che facile, molte le difficoltà politiche e istituzionali, tanto che Ferruccio Parri, direttore del Centro studi per le relazioni con la Cina, così scrive in una lettera: «Caro Calamandrei, la faccenda cinese è paradossalmente italiana. Il governo non funziona; il governo non sa cosa volere». 

Il presente saggio offre delle riflessioni su due contributi ospitati dal numero speciale della rivista e riguardanti il sistema giuridico cinese. Uno è scritto dallo stesso Calamandrei, Giudici e leggi, e l’altro è di Norberto Bobbio su Linee fondamentali della Costituzione cinese. Entrambi fanno ricorso ad un approccio conoscitivo.    

2. Calamandrei sui giudici e sulle leggi cinesi

Calamandrei guarda all’ordine giuridico cinese dalla prospettiva che ha sempre caratterizzato la sua riflessione intellettuale, quella della legalità, e prova a farlo in maniera critica, ad usare solo informazioni verificate che «lascino il minimo margine alla trasfigurazione di propaganda», e a non cadere vittima della retorica propagandistica comunista o paracomunista. 

Il giurista guarda alla legge e ai giudici cinesi. «Prima i giudici e poi le leggi», così inizia il saggio. Ai giudici il primato perché a loro spetta l’interpretazione della legge e la recezione dei principi in essa tradotti. Solo così si può creare una «nuova legalità», e compiere una piena rivoluzione. Calamandrei giustamente premette che l’ordinamento giuridico cinese è allo stato nascente, un cantiere, fatto di principi programmatici della Costituzione e di alcune leggi fondamentali che portano la «certezza giuridica nei settori della vita nazionale ov’era più urgente. Ma sono come isole che emergono dopo l’inondazione: zone di diritto scritto che gradualmente si solidificano sulla fluida marea del costume e della ragione politica». Lo stato d’incompiutezza della legislazione cinese non è conseguenza di una preferenza per il diritto libero, Calamandrei nel suo saggio lo fa dire direttamente ad un suo informatore riportandone le parole, ma conseguenza dello stato ancora embrionale nel quale si trova la nuova esperienza legislativa. La Cina in ciò si discosta dall’esempio della Russia, tipico regime autoritario, che lui ha tanto criticato nella sua conferenza fiorentina Fede nel diritto. La Cina sta lavorando per sviluppare una codificazione scritta, è in cammino verso uno ius conditum

Questo cammino di costruzione della legislazione ha raggiunto, a distanza di 65 anni, un traguardo storico con la promulgazione del codice civile cinese, adottato dall’Assemblea nazionale del popolo lo scorso 28 maggio. Il nuovo slancio legislativo si è avuto subito dopo la rivoluzione culturale sulla strada tracciata dal “piccolo timoniere”. Dice Deng Xiaoping nel 1978: «Allo stato attuale, il carico di lavoro del legislatore è molto gravoso e la forza lavoro non è sufficiente, pertanto le disposizioni legali possono essere inizialmente un po’ grossolane, e poi gradualmente migliorate. Alcune leggi e regolamenti possono essere prima provati e poi, dopo una sintesi (delle esperienze) e relativo miglioramento, formulati come leggi comuni di tutto il paese. Per modificare ed integrare la legge, quando un articolo è maturo procedere subito alla sua revisione, non è necessario attendere che tutto il contenuto della legge sia pronto per essere emendato». I 40 anni successivi vedono la legislazione inseguire le riforme economiche. Le prime leggi di diritto civile promulgate nel 1979 riguardano le equity joint venturesino-straniere. A seguire la legge sui brevetti e marchi e nel 1986 i principi generali di diritto civile, primo tentativo di sviluppare una legislazione organica e generale. Nel 1992, con l’adozione di un sistema economico di economia socialista di mercato, inizia un’altra ondata di produzione di norme speciali legate all’uguaglianza dei soggetti di mercato, ai diritti dei singoli e alla proprietà. Da ricordare sono la legge sui contratti e la legge sui diritti reali. Il 2015 segna un passaggio importante. Viene emendata la Legge sulla legislazione adottata nel 2010, e il nuovo art. 6 recita: «La legislazione deve, sulla base delle circostanze reali, soddisfare i requisiti dello sviluppo economico sociale e del generale miglioramento delle riforme, definire, in modo scientifico e razionale, i diritti e le obbligazioni dei cittadini, delle persone giuridiche e delle altre organizzazioni, nonché i poteri e le responsabilità degli organi dello stato (primo comma). Le norme devono essere chiare, specifiche, rilevanti ed applicabili (secondo comma)». A marzo iniziano i lavori del Comitato per gli affari legislativi per l’adozione del codice civile, a seguito della decisione dell’ottobre 2014 della IV sessione plenaria del XVIII Comitato centrale del Partito comunista. Tale sessione si distingue per il forte connotato giuridico, l’obiettivo è quello di accelerare il cammino verso la costruzione di uno stato di diritto cinese. A marzo 2017 vengono approvate le previsioni generali del codice civile. La promulgazione della parte speciale del codice è del 2020 e segna il completamento di un lungo percorso di modernizzazione e ripensamento della cultura giuridica cinese. La parola “codice” entra nel linguaggio comune, e viene interpretata come enciclopedia del vivere sociale. 

La Cina, partita dallo studio della pandettistica, ha provato a sviluppare nel suo codice civile caratteristiche proprie, ereditando i valori della tradizione, e provando a ridarvi nuovo splendore, in linea con l’intento politico di costruzione di un socialismo con caratteristiche cinesi derivanti dalla storia e dalle condizioni socio-economiche. Formante politico, formante storico, formante straniero, e necessità di modernizzazione sono ancora alla base della riflessione giuridica cinese attuale. Questo lo aveva ben capito Calamandrei quando scrive: «Per quelle materie per le quali non esistono ancora leggi ‘nuove’, cioè leggi emanate dopo la liberazione, non si può far ricorso alle leggi del regime precedente, perché esse esprimevano le concezioni politiche di una classe dominante che oggi non domina più; né ispirarsi alle leggi dei paesi stranieri, perché le leggi da applicare in Cina devono venir dal didentro, cioè dalla coscienza e dalle esperienze storiche del popolo cinese; devono essere leggi ‘nate dalla nuova terra’. Allora, ove non esistono leggi, ogni giudice nel decidere cerca di ispirarsi non al suo personale arbitrio, ma alle tendenze programmatiche della nostra Costituzione, e alla morale sociale». Quanto alla carenza di leggi penali il giurista riporta la risposta del suo informatore e commenta: «Risposta: ‘La distinzione tra il lecito e l’illecito è posta, prima che dalle leggi, dalla coscienza giuridica e morale del popolo. La morale tradizionale insegna che quando si è preso un prestito bisogna renderlo; che quando si è fatto un contratto bisogna osservarlo; che chi uccide si espone ad essere ucciso’. In questa risposta par di sentire un’eco del buon senso confuciano, che conosce la inutilità delle leggi scritte, ove non si appoggino alla educazione morale: la fiducia nella forza coercitiva della pura logica giuridica è una vocazione tutta europea». Emerge con tutta la sua forza il complesso rapporto tra morale e legalità, che per il giurista diventa misura della distanza tra la cultura giuridica cinese e quella europea. Calamandrei sa molto bene che il rapporto tra morale e legge scritta è un rapporto complesso. Nella sua conferenza fiorentina sulla fede nel diritto il giurista ricorda come anche un sostenitore delle pure forme quale il Kelsen abbia bisogno di porre in vetta alla piramide la «luce della morale e della fede». Kelsen stesso, nell’anno del viaggio della delegazione in Cina, s’interroga sulla teoria comunista del diritto e sul suo rapporto con il diritto naturale. Si tratta di un lavoro fondato sulla ricerca di contraddizioni e cortocircuiti di una tale teoria. Il prodotto finale è una dottrina positivista ma anche «altamente moralista», come rivela Berman nella sua recensione al lavoro del giurista austriaco. Berman nelle sue riflessioni future avrebbe prima spostato l’enfasi su «“nonrational” elements of Western law in order to evaluate properly the dynamism and the apocalypticism of Soviet and Chinese law» per poi appellarsi alla legge che Dio ha scritto nel cuore di tutti. È il 2006, e lo studioso così risponde ad uno studente durante una sua lezione in Cina: «You don’t necessarily have to believe in God, but you have to believe in something. You have to believe in law at least. If you can’t accept God, then just focus on the law that God has written on all of our hearts. Even children intuitively sense this law within us. Every child in the world will say, “That’s my toy.” That’s property law. Every child will say, “But you promised me.” That’s contract law. Every child will say, “It’s not my fault. He hit me first.” That’s tort law. Every child will say, too, “Daddy said I could.” That’s constitutional law. Law ultimately comes from our human nature, and our human nature is ultimately an image of God». 

La fede cinese nel diritto passa per «il buon senso confuciano» che Calamandrei correttamente intuisce essere fondato sull’educazione morale. Da qui l’attenzione per il ruolo chiave dei giudici. Questi, sebbene indipendenti nell’esercizio della funzione giudiziaria, sono comunque responsabili politicamente come funzionari. Tutti devono concorrere all’attuazione del programma politico stabilito dalla Costituzione e devono «cooperare a quell’opera pedagogica di educazione politica che è uno dei metodi della rivoluzione cinese». I giudici sono interpreti della morale sociale, educatori, e con le loro decisioni creatori di diritto. Questa loro attività creativa del diritto è raccolta in lavori di “tipicizzazione”, «così dalla decisione dei casi singoli vengono fuori gradualmente i criteri di massima: in modo che c’è così la sicurezza che le leggi, essendo soltanto una codificazione della giurisprudenza, sono veramente adeguate alla coscienza sociale». L’attivismo dei giudici cinesi di cui Calamandrei è testimone ha dato un grande contributo allo sviluppo del diritto cinese ed è ancora oggi un asse importante dell’ordinamento. La Suprema corte del popolo con le Previsioni sul lavoro di interpretazione giudiziale del 2007 ha riconosciuto valore di legge alle interpretazioni giudiziali, che possono avere quattro forme: “interpretazioni” (jieshi), “previsioni” (guiding), “risposte” (pifu), “decisioni” (jueding). La stessa Corte nel 2010 ha istituito il sistema dei casi guida (zhidaoxing anli), riconoscendo forza vincolante “indiretta” a precedenti decisioni cui è stato attribuito valore di guida. Infine ci sono i casi tipici (dianxing anli), anche questi dotati di capacità d’indirizzo dell’attività giurisdizionale. 

La morale e il governo della virtù sono sempre presenti nella cultura giuridica cinese tradizionale e moderna. Con la riforma costituzionale del 1999 il principio del “governo del paese in base alla legge” (yifa zhiguo) viene sancito all’art. 5, e contemporaneamente inizia un dibattito anche sul principio del “governo del paese in base alla virtù” (yide zhiguo). In questi ultimi anni si è posta sempre più attenzione alla deontologia delle professioni legali, riformando nel 2018 gli esami di accesso alle professioni legali e aggiornando i curricula degli studi universitari. 

Calamandrei conclude il suo saggio con una riflessione sul ruolo rieducativo della pena e sulla pena di morte, non mancando ironicamente di sottolineare l’incompatibilità italiana tra l’art. 27 della Costituzione e la presenza della pena dell’ergastolo. Il giurista in chiusura esprime convinzione in un’amministrazione imparziale della giustizia in Cina. È consapevole delle critiche di cui è oggetto l’ordinamento cinese ma decide di guardare alla strada fatta dalla neonata repubblica popolare che «è riuscita a riportare l’onestà», ed è ottimista circa il suo futuro.

3. Bobbio e la Costituzione cinese

Bobbio scrive per il numero speciale de Il Ponte un saggio su Linee fondamentali della Costituzione cinese, e guarda ai valori politici espressi nella carta costituzionale con «il rispetto che si deve al credente in buona fede». La Cina è un paese in un viaggio storico verso la realizzazione di una società socialista, e nella visione marxista «la storia non fa salti» e «ha le sue linee obbligate». 

Lungo questo tragitto lo studioso, attraverso un’analisi comparata tra Cina e occidente, riflette sullo stato dell’ordinamento cinese. Si tratta di una fase “transitoria” dell’ordinamento che, ciononostante, permette di osservare i vertici e principi irrinunciabili degli ordinamenti socialisti e di quelli liberali nel loro divenire storico e non solo nelle loro forme ideologicamente pure. Tutti gli ordinamenti sono basati su un compromesso e il compromesso della Costituzione cinese è l’alleanza di classi e di forze politiche diverse in lotta tra loro, alleanza che ha natura transitoria. Le linee teoriche del nuovo stato cinese sono presentate da Mao Zedong nel suo saggio Sulla nuova democrazia. La società cinese, coloniale, semicoloniale e semifeudale avrebbe portato alla costituzione di una repubblica sotto la dittatura congiunta di diverse classi rivoluzionarie. La novità principale di tale ordine politico è la partecipazione a questo fronte democratico della borghesia nazionale. Tale ruolo della borghesia porta ad un diverso ordinamento economico e sociale che individua quattro forme di proprietà fondamentali. Alle tre forme tipiche delle democrazie popolari, proprietà statale, proprietà cooperativa e proprietà dei lavoratori individuali, si aggiunge la proprietà dei capitalisti. Questo nuovo ordine si sviluppa secondo i principi del «controllo sul capitale» e «dell’uguaglianza dei diritti alla proprietà della terra». Il primo impone che «le imprese, di proprietà cinese o straniera, che abbiano carattere monopolistico o che siano troppo vaste per essere gestite da privati, come le banche, ferrovie e linee aeree, saranno sfruttate e amministrate dallo Stato». In questo modo si evita il «monopolio di pochi individui». La produzione capitalista è ammessa solo nella misura in cui «non domina la vita del popolo». Il secondo principio invece, «uguaglianza di diritti alla proprietà della terra», vuole evitare la situazione in cui pochi, ricchi capitalisti o proprietari terrieri, dominino la vita delle masse, e si realizza nel principio di suddivisione della terra e dei profitti in base al proprio lavoro.

Questo ruolo transitorio del capitalismo è stato ed è al centro del grande miracolo economico cinese degli ultimi quarant’anni. Con l’inizio degli anni ’80 il Partito comunista inizia un grande lavoro di sperimentazione economica che porta nel 1992, in occasione del XIV Congresso nazionale del Partito, alla formalizzazione dell’adozione di un sistema economico di economia socialista di mercato. Tale sistema economico è diventato una delle caratteristiche fondamentali del socialismo con caratteristiche cinesi. Con la “Decisione del Comitato centrale del Partito comunista cinese su importanti questioni circa lo sviluppo e il perfezionamento del sistema del socialismo con caratteristiche cinesi e l’avanzamento nella modernizzazione del sistema e della capacità di governance cinese” il Partito ha ribadito la centralità della proprietà pubblica, l’esistenza di una varietà di forme di proprietà assegnate in base al lavoro, la superiorità del sistema economico socialista e la necessità di dare spazio al ruolo decisivo del mercato nella distribuzione delle risorse. L’obiettivo è quello di combinare al meglio le forze produttive del paese, di supervisionare e proteggere l’unità del mercato.

A livello politico, quella di oggi è la fase del socialismo cinese di nuova era secondo il pensiero di Xi Jinping, ed ha portato alla revisione dello statuto del Partito comunista e della Costituzione della Repubblica popolare. Tra i cambiamenti più importanti della Costituzione è bene ricordare in questa sede l’inserimento del pensiero di Xi Jinping nel preambolo, il ruolo guida del Partito comunista formalizzato all’art. 1, l’abolizione del limite di due mandati per il presidente, l’istituzione della commissione di supervisione. Una riforma volta alla stabilizzazione del potere, necessità tipica dei governi socialisti espressa già da Bobbio nel suo saggio. 

La riforma costituzionale del 2018 vede anche la costituzionalizzazione dei valori centrali del socialismo (art. 24 secondo comma) presenti oggi anche nel nuovo codice civile, e segna un passaggio importante nel processo di sinizzazione del marxismo avviato nel 1978. Tale processo oltre ad integrare insieme il marxismo-leninismo, il pensiero di Mao Zedong, le teorie di Deng Xiaoping, il pensiero fondamentale de “Le tre rappresentanze”, il concetto di sviluppo scientifico, riassume l’esperienza pratica e la saggezza collettiva del Partito e del popolo cinese e mira alla grande rinascita e lotta del popolo cinese, e alla realizzazione del sogno cinese. La rinascita del popolo cinese passa anche per la rinascita della sua cultura tradizionale, così come indicato nell’ “Opinione per la realizzazione del Progetto di eredità e sviluppo della splendida cultura tradizionale cinese” dell’Ufficio generale del Comitato centrale del Partito comunista cinese e l’Ufficio generale del Consiglio di stato della Repubblica popolare cinese del 2017. 

Bobbio, diversamente da Calamandrei, tralascia la tradizione cinese ed il confucianesimo, oggi fonti non trascurabili per comprendere il pensiero politico e giuridico cinese.

4. Conclusioni

I due saggi ricevettero molte critiche, la più aspra quella di Nicola Chiaromonte che apparve a Calamandrei irrazionale e ingiuriosa. Il giurista, nella sua risposta, dipinge un ritratto della politica italiana e degli intellettuali che può essere utile ricordare: «C’è una categoria d’italiani, specialmente tra le persone cosiddette di cultura, per i quali l’America ha sempre ragione. Essi sanno che l’America ha adottato in questi ultimi anni la politica di isolare la Cina e di ignorarla; ossequenti a questa consegna, si rifiutano di parlare della Cina o di sentirne parlare: chi osa dire che la Cina esiste, diventa senza volerlo un loro nemico personale. E chi va in Cina e al ritorno racconta che la Cina vive e progredisce anche senza gli americani, è un traditore venduto o un utile idiota». 

La Cina di oggi non è più la Cina di Calamandrei, ma la seconda potenza mondiale. Nonostante i decenni di collaborazioni e scambi tra la Cina ed il resto del mondo, sembra che siamo giunti all’alba di un altro periodo di difficoltà nel dialogo, ostilità tra governi e raffreddamento delle relazioni diplomatiche. Oggi come ieri la Cina rappresenta uno dei paesi più popolosi al mondo in grado di influenzarne le sorti. Forse la strada migliore è contenuta nel titolo di un altro saggio di Calamandrei Guardare oltre la Grande Muraglia, provare ad andare oltre i confini politico-culturali e guardare alla Cina da un’altra prospettiva. Un’irrinunciabile lezione di metodo.    


Citazione consigliata: Cardillo I., [Titolo], in Istituto di Diritto Cinese, [data], disponibile all’indirizzo […]

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